BADALISC
Ogni paese ha il suo eroe: ad Andrista è senza dubbio il Badalisc!
Secondo la tradizione questo essere mitologico vive nei boschi della Valsaviore, ogni anno viene catturato nella serata tra il 5 e il 6 gennaio e portato in processione lungo le vie del grazioso borgo.
Descriverlo non è semplice perché l’aspetto è frutto di una combinazione di elementi presi in prestito dal mondo animale, molto difficili da distinguere.
Nella rappresentazione il Badalisc procede verticalmente, il corpo fatto a sacco ha una statura imponente senza arti, possiede tratti che ricordano la capra ed il serpente, ma vi è anche lo spirito notturno del gufo e del fare ambiguo della lince. Ha una gran bocca che spalanca ritmicamente, corna e occhi rossi che di tanto in tanto si illuminano.
L’ingresso del Badalisc in paese è accompagnato da alcune maschere simboliche, tra cui il nonno, la nonna, vecchie befane, pastori barbuti ed una provocante “signorina” (che è l’esca per gli appetiti sessuali dell’animale).
Una volta catturata, la bestia viene legata per evitare che si scagli contro la folla e portata in sfilata.
Terminata la processione, giunge il momento clou: il temuto discorso (la ’ntifunada).
Il Badalisc consegna ad un interprete il foglio che viene letto alla folla rendendo pubblici i segreti, i “peccati” e le mancanze degli abitanti di Andrista commesse durante l’anno, senza però svelare apertamente il peccatore. Il rituale termina con danze e cibo a volontà e la ri-liberazione del Badalisc nella boscaglia.
In passato la festività era contrastata dalla Chiesa poiché riteneva che fosse una creatura di origine pagana. Per le donne infatti, vedere il Badalisc o udirne il discorso, era come violare un sacro tabù, alla S. Messa dell’Epifania, l’indomani della festa, a quante l’avevano infranto veniva negata la possibilità di accostarsi alla Comunione.
Le origini
Datare con certezza le origini del Badalisc è impossibile perché è frutto di una tradizione che si tramanda oralmente di generazione in generazione.
Pur mancando fonti scritte, alcuni studiosi ritengono che le vere radici siano nascoste tra le migliaia di figure incise sulle rocce di Valle Camonica. Esistono somiglianze tra il Badalisc ed altri miti che popolano l’intero arco alpino, alcuni diffusi addirittura nella stessa Valle Camonica e in Val Trompia, crocevia alpini con i vicini Trentino Alto Adige e Valtellina, patrie d’elezione del mitologico uomo selvatico. Altre figure affini sono il Krampus, “artiglio” in antico germanico, diffuso in alcune regioni a lingua tedesca (Alto Adige, alcune valli friulane, Baviera e Tirolo) e raffigurato come un demone che accompagna San Nicolò.
Il discorso “’ntifunada” è molto simile alle Bosinade o Businade: composizioni (in prosa o poesia, scritti o improvvisati) satiriche che denunciano le malefatte della comunità. Queste usanze, attestate nel XVI sec., erano diffuse in tutta l’Italia settentrionale e deriverebbero dalle celebrazioni “purificatorie” di Capodanno.
Il presunto legame tra il Badalisc ed il mito del Basilisco, un fantastico serpente che incenerisce ogni cosa su cui posa lo sguardo, diffuso nell’Italia settentrionale, anche a Cevo, presenta invece aspetti problematici ancora tutti da chiarire.
Saviore, Maridà le püte
A Saviore la sera del Venerdì Santo ricorre l’antica tradizione del “maridà le püte”, maritare le single, si direbbe oggi. Due gruppi di giovani accendevano due grandi fuochi: uno alle Dase, in cima al paese, verso Fabrezza, e uno più in basso, di fronte, al Dos Merlì. Accompagnati da squilli di trombe, corni e schiamazzi, partivano i cori epitalamici.
Sta primaera sopra la tera
ghè na s-ceta bela bela
ch’ela? ch’ela?
(nome della ragazza)
dàghela a chi?
(nome del ragazzo)
e per no falà?
al camì de la sö cà
Questa primavera sopra la terra
c’è una ragazza bella bella
chi è? chi è?
(nome della ragazza)
a chi la diamo?
(nome del ragazzo)
e per non sbagliare?
al camino di casa sua
In tale occasione, punzecchiavano le zitelle, facevano uscire allo scoperto gli amori clandestini, canzonavano quelli finiti. Ogni anno, le associazioni locali ripropongono l’usanza, duramente contrastato negli anni passati dalla Chiesa ma sopravvissuto nel tempo per la sua forza di rito legato alla fertilità e alla rinascita della primavera.